giovedì 4 novembre 2010

- La prima cosa che ho sentito è stata la sua voce e un odore fortissimo, di alcool, non so, disinfettante, hai presente quell’odore tipico di asettico?
- Sì, ho presente.
- ...
- ...
- Che poi, in realtà, ho sentito prima l’odore e poi la sua voce, l’odore era fortissimo, quasi faceva male in quello stato di calma ovattata, una sensazione davvero assurda provare una sensazione alla volta, ehm... credo che non siamo abituati, di solito abbiamo tutti i sensi che lavorano insieme.
- Sarebbe figo poter spegnere tutti i sensi per isolarne uno e goderne a pieno senza distrazioni. Scusa, non volevo...
- ...
- ... cioè intendevo...
- Non preoccuparti, capisco. Sì, in effetti, credo di averci messo un po’a distinguere esattamente cosa stesse succedendo, voglio dire, capire che stavo sentendo un odore. Il tempo è l’unica cosa che non riesco a quantificare, non ho idea di quanto tempo sia passato fra gli eventi. Credo di aver sentito l’odore per qualche giorno prima di sentire la sua voce e quelle degli altri ma non ne posso essere certo.

Continuava a guardarmi con quella faccia misericordiosa, sembrava che stesse parlando con un cane bastonato. Voglio dire, che avrà avuto mai da provare tutta quella pena? Stavo bene, quantomeno ci provavo, le avevo detto che mi vedevo con la mia infermiera praticamente da quando ho ripreso i sensi e lei continuava a guardarmi come si guarda un martire, con quelle mani frenetiche che mi danno ai nervi. Se ne stava per minuti senza parlare a mangiarsi quelle unghie, non la smetteva di fumare e di guardare quel pacchetto di tabacco che aveva davanti.

- Diego, io ho una figlia.
- Lo so già.
- Immaginavo, compie un anno fra venti giorni... tu mi avevi ferito... io ero a pezzi, mi avevi detto del tradimento, poi l’incidente, poi non ci ho capito più niente...
- Non devi giustificarti. Non piangere.
- ...
- Dai non è niente.
- Non mi sto giustificando, ti sto solo spiegando. Mi sono sentita una merda, quella sera, mentre venivo in ospedale ricordo di aver pensato che te lo meritavi quell’incidente, ero fuori di me. Da quando ho saputo che ti eri ripreso è stata una tortura...
- Anche per me, fidati.
- Voglio dire che avrei voluto cercarti prima ma non sapevo come..., ho pensato che forse avevi bisogno di tempo.
- Io non ti sto recriminando niente. Smettila di piangere ti prego.

  C’è da rimanerci secchi a pensare quante cose siano successe a lei e quante poche a me. È sempre bellissima, anzi forse di più ma adesso credo che mi è indifferente la sua bellezza.
Chissà se l’incidente abbia modificato il mio modo di sentire le cose, i sentimenti, chissà se sono capace di provare ancora sentimenti. Me ne sto qui in questo bar del centro a parlare con la ragazza a cui, tre ore prima che m’investissero, avevo confessato il mio unico tradimento con una leggerezza devastante, come se le avessi detto che ero andato a prendere un aperitivo al bar. Non so davvero dove volessi arrivare con quella confessione, i dettagli, le sensazioni, le avevo raccontato tutto forse per provocarla o chissà per quale altro bizzarro motivo, però non mi è piaciuto, davvero, avevo terminato con fierezza. E davvero non mi era piaciuto perché con lei potrei dire qualsiasi cosa tranne che non facessimo l’amore da dio, avevamo raggiunto un’intesa da non crederci, era l’incarnazione di ogni mio desiderio, di ogni mio istinto più segreto, di ogni mia piccola perversione, se io lo fossi per lei, bisognerebbe che glie lo chiedessi ma forse non è il caso né il momento.

- Ti piaceva scopare con me?
- Ma che cazzo di domanda è questa? Che c’entra adesso? Non ci vediamo da... no, anzi, tu non mi vedi da quattro anni, perché nei tre anni che sei stato in coma, come un fottutissimo fantoccio di gomma, ci sono sempre stata, nonostante ti odiassi perché sei una testa di cazzo io ero lì, i primi tempi sono passata tutti i giorni e ti ho parlato, accarezzato, baciato, ho pianto e pregato perché non morissi, mi mancavi, mi mancavi come l’aria quando sei sott’acqua, pregavo per arrivare a galla a respirare di nuovo ma tu non ti svegliavi e i medici dicevano che la tua situazione era particolare e che c’erano i presupposti perché tu ti risvegliassi ma non potevano dire quando, e se, sarebbe successo. Quando ti hanno trasferito alla clinica su in collina, io sono crollata, non ce la facevo più, la tua assenza mi ha sfiancato, ho mollato e ho cominciato a venire meno e poi è successo che... non so nemmeno perché te le sto dicendo queste cose!    
- ...
- Io ero felice con te Diego, ti amavo nonostante tutto ma tu eri... tu eri... tu non eri più, c’era il tuo corpo che cambiava forma, colore è stato atroce che non so nemmeno spiegarlo per come lo è stato, avevo bisogno di un appiglio e l’ho trovato e poi le cose sono andate in questo modo e ora ho un marito e una bimba e forse era meglio che non fossi venuta nemmeno a quest’appuntamento, forse è presto, forse avremmo dovuto aspettare ancora un po’ e rispondi a sto' cazzo di telefono per favore!

  Era il mio agente, si trattava di lavoro, alla sua domanda risposi di si, risposi che immaginavo già, avevo ancora il giornale con la pagina di cronaca sotto mano, certo me la sentivo non era mica il primo, dopo l’incidente. Lei mi guardava con aria sconvolta, probabilmente il fatto che già fossi tornato al lavoro la sbalordiva. Si certo, dov’è che devo andare? Ok, dammi una quarantina di minuti e sono lì.
Irene era una donna con un forte senso dell’umorismo, ci sono rimasto male quando sventolando il mio bastone, le ho detto che dovevo scappare, io l’ho trovata una battuta geniale ma il mio sorriso deve averle dato ai nervi a giudicare dal suo “va’ all’inferno” di congedo, probabilmente non la rivedrò presto.
     Ho chiesto il conto a questo ragazzino dalla faccia simpatica, gli ho lasciato qualche euro di mancia e ho fatto per alzarmi, ancora non mi abituo al fatto che la gente mi chieda se ho bisogno di aiuto solo perché giro con un bastone e ho una gamba che non funzionerà mai più come prima. Appena fuori dal bar un vento gelido mi schiaffeggia la faccia, è solo l’inizio di novembre ma fa già molto freddo, alzo gli occhi e guardo questo cielo bianco e mi chiedo perché non sono morto in quell’incidente, mi abbottono la giacca e lascio la mia domanda al vento.     

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